E’ molto simile ad una camicia, ma si differenzia per praticità e versatilità. La polo ha una storia dietro il suo nome che spiega quella sua particolare caratteristica dell’essere elegante ma al tempo stesso casual e poco impegnativa.
Sicuramente intuibile il fatto che il capo derivi dall’omonimo sport: l’indumento fu infatti la prima divisa a maniche corte per il polo, appunto, praticato dagli ufficiali britannici di guarnigione in India. Le esigenze dovute alle caldissime temperature, segnarono la combinazione tra un tipo di maglia decorosa e rispettabile (quindi con colletto e allacciatura a tre bottoni) con un tessuto leggero e traspirante. Di qui la scelta del piquet (jersey operato in modo da ottenere al contempo un buon spessore e un’elevata circolazione d’aria). Nacque così sui green indiani un capo destinato ad entrare in ogni guardaroba maschile, di ogni età ed estrazione. Almeno dopo gli anni Venti, a seguito di una sponsorizzazione sportiva – una delle prime a quel tempo – di uno sport elitario come il polo ma meno costoso: il tennis
In quegli anni spopolava “le crocodile”: l’animale che ancora oggi vediamo spesso sui petti maschili prese il nome proprio dal giocatore francese René Lacoste chiamato coccodrillo per il suo gioco astuto da fondo campo e il suo potente rovescio inesorabile come il colpo di coda del rettile. La casa di moda che successivamente, ritiratosi a vita privata, Lacoste fondò, segnò un vero cambiamento nell’abbigliamento da tempo libero maschile. E così pure quella dell’avversario inglese Fred Perry che come lui, dopo la carriera tennistica, cambiò campo da gioco diventando stilista.
Benessere ed eleganza, classe e spirito libero: questi i valori che lo sport del tennis ha “cucito addosso” alla polo destinandola a rimanere sempre un elemento indispensabile dell’outfit estivo.